QUANDO L’ADOLESCENTE NON FA L’ADOLESCENTE

 In Comunicazione, Psicoterapia

L’adolescenza, come sappiamo, è la fase della vita in cui l’individuo, alla ricerca della propria identità, sperimenta un desiderio di autonomia, mettendo in discussione i valori genitoriali, spesso  ricercando nuove figure di riferimento all’esterno della ristretta cerchia familiare.

Tuttavia ci sono alcuni adolescenti che non fanno gli adolescenti.

Sono quei casi in cui i genitori si lamentano del fatto che i figli stanno troppo spesso in casa, vuoi per giocare ai videogames, vuoi perché passano tutto il tempo solo a studiare senza coltivare hobby o passioni. Sono addirittura loro stessi, i genitori, a spronare i propri figli a uscire, incontrare i coetanei, fare esperienze nuove e stimolanti.

Sembra quasi che questi adolescenti siano bloccati e non riescano a vivere in maniera compiuta questa tappa fondamentale della crescita individuale.

Perché?

Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo spostare la telecamera della nostra attenzione e rivolgerla al contesto in cui vivono i ragazzi: un adolescente, infatti, come ogni individuo, è inserito in un sistema di relazioni che ne influenza i comportamenti.

E poiché l’originale e il principale sistema di relazioni di un adolescente è la famiglia, è lì che dobbiamo focalizzare il nostro sguardo per capirne le dinamiche interne.

Chiediamoci, quindi, come viene vissuta l’adolescenza di un figlio da parte dei genitori.

Sono molteplici i fattori che intervengono a delineare il loro vissuto quando vedono il proprio figlio diventare grande e iniziare ad intraprendere un percorso di vita autonomo: se da una parte possono essere contenti ed orgogliosi che i loro “bambini” stiano crescendo, dall’altra i genitori sono spaventati o quanto meno preoccupati da ciò che può capitare ai propri figli al di fuori dal loro controllo; possono anche sentirsi rifiutati e allontanati, pur se consapevoli del fatto che è questo un passaggio fondamentale per la crescita dei figli; in alcuni casi possono arrivare a negare il fatto che figli abbiano davvero bisogno di tutta questa indipendenza (“avranno sempre bisogno di mamma e papà”); comunque si dovranno arrendere al fatto che gli equilibri faticosamente raggiunti durante l’infanzia dovranno essere superati per crearne di nuovi, così come dovranno essere rinegoziate le distanze interpersonali.

L’adolescenza tuttavia non è il primo momento in cui i genitori sperimentano questa sensazione di distacco dai propri figli: sin dalla prima infanzia i bambini, dopo aver vissuto quasi in simbiosi con i genitori nei primi mesi di vita, iniziano ad esplorare il mondo e a entrare in contatto con ambienti e figure esterne alla famiglia (ad esempio con l’inserimento all’asilo nido).

In questa fase si manifestano spesso due dinamiche interconnesse.

Da una parte i genitori vivono forti emozioni legate ai propri bisogni di protezione e cura che inconsapevolmente attribuiscono al bambino: ad esempio durante un incontro di gruppo una mamma spiegò che doveva tenere costantemente in braccio il proprio figlio perché talmente attaccato a lei e bisognoso di affetto che metterlo sul tappetino insieme agli altri piccoli avrebbe sicuramente provocato capricci o pianto; tuttavia, sollecitata dai conduttori del gruppo a provare comunque a lasciarlo giocare coi coetanei, il bimbo si dimostrò tranquillo e divertito dalla situazione.

Il bisogno che la mamma attribuiva al bambino si rivela, dunque, un bisogno del genitore.

Dall’altra parte i bambini interpretano la realtà attraverso i genitori percependo i loro segnali e reagendo di conseguenza: un sorriso o un volto preoccupato, così come i toni della voce e in genere l’insieme dei linguaggi non verbali forniscono al bambino una sorta di “mappa” che ne condiziona il comportamento.

Se ad esempio, mentre sta gattonando, volesse provare ad alzarsi in piedi ed il genitore presente reagisse con preoccupazione ed apprensione, il bambino apprenderebbe che quello è un comportamento pericoloso, che crea disagio a mamma e papà, e tenderà quindi a limitare la propria intraprendenza.

Anche durante l’adolescenza vengono messi in atto meccanismi simili: il ragazzo, cioè, percepisce bisogni inespressi della famiglia e modella i suoi atteggiamenti di conseguenza.

Può dunque accadere che una coppia si sia riconosciuta prevalentemente nel ruolo genitoriale e che, una volta esaurita quella funzione, il rapporto rischierebbe di entrare in crisi. In questo caso può essere che l’adolescente tenda a farsi carico della responsabilità di mantenere il legame tra i genitori continuando a recitare il ruolo di figlio bisognoso di cure e attenzioni.

Tornando al quesito iniziale, dunque, quella dell’adolescente che non fa l’adolescente non si tratterebbe di una mancanza di voglia di uscire o di sperimentare, ma di un desiderio di restare e di continuare a mantenere i pregressi equilibri familiari.

Tuttavia questo può provocare sofferenza nel ragazzo, perché sarà costretto a gestire due tensioni opposte: quella che lo spinge verso il mondo, verso la ricerca della propria autonomia e il rapporto coi coetanei, e quella che lo trattiene nell’alveo familiare.

Questo sentirsi in bilico, però, corre il rischio di sfociare in un disagio psicologico più profondo, con sintomi quali ad esempio attacchi di panico, calo del rendimento scolastico, ritiro sociale, ecc.

Laddove il disagio dell’adolescente possa essere meglio compreso e gestito all’interno di un percorso psicoterapeutico, questo può talvolta prendere la forma della terapia familiare, proprio per il legame che esiste tra il malessere individuale e la crisi degli equilibri famigliari.

 

Dott.ssa Silvia Grossi

 

Comments

comments

Post suggeriti

Leave a Comment

Inizia a digitare e premi Enter per effettuare una ricerca