BENEANDATO – Ovvero accettare la perdita e il lutto

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Le parole riflettono i nostri pensieri e i nostri pensieri riflettono noi stessi e la possibile qualità della nostra vita.

Vorrei fare qui una riflessione sull’esistenza di una parola e quindi di tutto ciò che ne deriva e sulla non esistenza di un’altra parola e quindi di tutto ciò che ne deriva.

La parola che esiste é benvenuto, o anche ben tornato. Questa parola ci introduce alla gioia per persone che arrivano, che entrano nella nostra vita, o per quelle che abbiamo la fortuna di rivedere e di reincontrare. Sviluppiamo così la buona cultura dell’accoglienza, dell’invito, dell’ospitalità sacra, ma sviluppiamo anche la cultura dell’attaccamento. Finiamo per associare la gioia a ciò che di buono c’è, a ciò che di positivo entra o rientra nella nostra vita.

Vorrei allora coniare una parola mancante che è beneandato.

Quando una persona va via dalla nostra vita, in qualunque modo, ciò rappresenta una perdita, un lutto a volte molto doloroso, che richiede mesi, a volte anni per essere elaborato. A volte non riusciamo più a riprenderci da un lutto che non riusciamo a tollerare.

Ma non perdiamo solo le persone, perdiamo anche epoche della nostra vita, stati d’animo, possibilità e così via.

Ogni ciclo vitale che si chiude (per fare spazio ad un altro) é di fatto una perdita, con tutti i vissuti depressivi che solitamente l’accompagnano. Ad esempio una vacanza che finisce e dobbiamo rientrare al lavoro, oppure il termine di un ciclo di studi. Oppure perdiamo la gioventù e la relativa freschezza, o vediamo spegnersi in noi l’intenso stato emotivo dell’innamoramento, o perdiamo l’infanzia, e poi l’adolescenza; oppure un figlio che nasce, di fatto lo sentiamo perduto dentro di noi. Alcune donne sperimentano una depressione post partum dovuta proprio alla nascita/perdita del proprio figlio.

Troverei bello imparare a risuonare con una nuova parola che ci permetta di accogliere anche la perdita.

Mi piace pensare che tramite le parole si possa sviluppare una cultura dell’accettazione equanime di tutto, di ciò che arriva o ritorna ma anche di ciò che va via e ci lascia (ma anche viceversa e cioè che la cultura dell’accettazione porti a coniare nuove parole).

Se fin da piccoli qualcuno ci insegnasse a salutare con gratitudine tutto ciò che se ne va, forse saremmo più capaci, più forti, più sereni nei lutti, più in armonia con la fine delle cose e in ultimo anche con la fine della nostra vita e di quella delle persone che amiamo.

Usiamo la parola addio per congedarci da chi stiamo perdendo per un motivo o per un altro e questa parola implica e sottende uno stato d’animo sofferente, vi è al suo interno un tono doloroso, un pianto, neanche tanto nascosto.

A me pare che invece la parola beneandato abbia lo stesso tono positivo della parola benvenuto, risuona in me come qualcosa che pacifica, mi pare che includa la serena accettazione dell’impermanenza di tutto nella nostra vita, compreso ovvimente, la nostra vita stessa. (1)

Le parole riflettono i nostri pensieri e i nostri pensieri riflettono noi stessi e la possibile qualità della nostra vita.

Ho concepito questa parola all’interno di una seduta con una mia paziente, mossa forse dal bisogno di aiutarla a vivere con un pò di serenità ciò che stava perdendo.

E se le parole nascono da determinati pensieri e al tempo stesso li sviluppano, mi é parso cosa buona inventarne una che mira a sviluppare una cultura dell’ accettazione delle perdite, così che potremmo salutarle con questa parola “beneandata” che contiene pace, serenità e forse anche gratitudine per ciò che abbiamo avuto, più che rabbia e dolore per ciò che abbiamo perso.

  1. Epiteto nel 120 d.C. scriveva: “Più che dagli eventi l’uomo è turbato dalla sua opinione degli eventi. Non é terribile la morte, ma l’etichetta di terribilità che le diamo. Problemi, turbamenti angosce sono nei nostri pensieri.”.

Dott.ssa Giovanna Berengo

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